Art * Texts * Pics
Intervista di Elena Bordignon
Mi racconti la mostra che presenterai a Marselleria?
Comincerei con il raccontare il titolo in quanto parte integrale del lavoro: Freevolo è una parola inesistente, composta da free e volo, la cosa interessante è il rimandare al concetto di volo, tema centrale del progetto che dimostra come – in maniera laterale – si possa arrivare all’evocazione di un determinato fatto, utilizzando una parola inesatta. In mostra saranno presenti alcune sculture, video e una serie di fotografie. Le sculture fanno parte della serie Posatoi e Dissuasori, lavori attraverso i quali cerco di innescare una riflessione sulla necessità culturale, tipicamente umana, di classificare in categorie, da queste hanno origine i cosiddetti luoghi comuni e pregiudizi che, una volta assimilati, muovono sentimenti di accettazione o repulsione. I video fanno parte di una serie ancora in progress che si chiama volounico: riprese aeree che registrano il tragitto di colombi viaggiatori dai luoghi dell’arte alla colombaia madre. L’idea finale è quella di sviluppare una mappatura aerea su differenti città italiane, utilizzando un punto di vista non convenzionale, che non è quello dell’uomo ma dell’animale. Sono infatti gli stessi volatili a realizzarli per mezzo di una piccola videocamera allacciata sul loro petto. In mostra in fine è presente una serie di immagini fotografiche, testimonianza di un viaggio visivo all’interno della sommersa comunità dei colombofili Italiana.
Da dove nasce il tuo interesse per i colombi viaggiatori? Come è nata l’idea della mostra?
Mio padre è un colombofilo, un allevatore di colombi viaggiatori. Per me il colombo è un animale epico come lo è stato il cavallo nella storia passata. Dai Sumeri fino alla prima guerra mondiale questo volatile è stato l’unico mezzo di comunicazione aerea, poi è arrivata la tecnologia è il colombo viaggiatore è stato completamente dimenticato. L’immagine che oggi si ha dell’intera specie è totalmente negativa, infatti i colombi selvatici che abitano le nostre città sono odiati e cacciati. Dimostrazione di come la modernità abbia radicalmente cambiato il modo di porsi della società nei confronti di un determinato individuo, di specie animale o umana che sia, discriminandolo o accettandolo non per quello che è, ma per quello a cui è utile. L’idea della mostra è nata grazie all’invito dell’architetto Marco Navarra che mi ha chiesto di affiancare il suo progetto di restauro per la Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Siracusa, questo prevedeva la costruzione di un padiglione mobile come spazio espositivo temporaneo, l’idea iniziale è stata quella di mettere in comunicazione il modulo espositivo mobile con il Museo, attraverso l’utilizzo di colombi viaggiatori. Il contesto mi è sembrato perfetto, visto che Siracusa è una delle città italiane col più alto numero di colombofili in Italia.
Il volo di andata e ritorno degli uccelli è per molti versi metaforico. Mi racconti cosa simboleggia per te?
In realtà il volo di questi animali non è mai di andata e ritorno, il colombo può solo tornare alla sua colombaia, non può essere inviato da nessuna parte. Quindi per mettere in comunicazione due punti bisogna prima scambiarsi i colombi, ma mentre l’uomo trae dei benefici da questo scambio, che è il ritorno della comunicazione, l’animale viene in un certo qual modo strumentalizzato, il suo bisogno di ritorno è in realtà dettato dall’istinto di tornare al suo nido. Questo pensiero rimette in discussione l’intero concetto di andata e ritorno.
Per questo progetto – ora a Milano e già presentato a Catania, alla galleria Collicaligreggi – hai consultato molte figure professionali: ornitologi, allevatori, associazioni colombofile, galleristi e curatori. Perchè questo progetto è da considerare artistico e non più prossimo ad una ricerca scientifica?
Il mio tipo di approccio è per certi versi scientifico ma guarda al lato più estremo della scienza che è quello della ricerca. I veri scienziati/ricercatori secondo me non combattono contro ciò che già esiste per cambiare le cose, ma cercano di costruire nuovi modelli che rendono obsoleti quelli esistenti, e per far questo devono spingere agli estremi le loro possibilità immaginative, superare i limiti del possibile, ed è un po’ quello che faccio io nel mio lavoro, spingo agli estremi la mia immaginazione, attingo dalla quotidianità, utilizzo ciò che è vivente, e lo immergo nel contesto dell’arte cercando di creare nuovi modelli al suo interno. Come diceva Albert Einstein l’immaginazione è più importante della conoscenza, perché la conoscenza è limitata, mentre l’immaginazione abbraccia il mondo, stimolando il progresso e facendo nascere l’evoluzione.
Oltre al volo dei colombi in tre orari diversi della giornata, ci sono in mostra altre opere. Che relazione c’è tra le opere?
La relazione che c’è tra questi lavori è inevitabilmente consequenziale. Io parto dal contesto, o meglio mi faccio un idea del contesto, creo una sorta di mio ambito mentale, ma poi per formalizzare il lavoro mi servo degli strumenti più disparati, per me l’importante è che rientrino all’interno di quell’ambito. In Freevolo faccio uso di tutti i mezzi espressivi disponibili, dalla scultura alla performance, ma sono tutti collegati tra loro, perché appartenenti ad un unico ambito.